Pianificare
Le vacanze di Natale stanno per finire, ma noi siamo in fermento per preparare bici e bagagli: partiamo per un nuovo viaggio. Meta: Giordania.
A partire siamo io, Paolo -compagno di vita e di avventure- e le nostre bici. Non le migliori che abbiamo, ma le più adatte -almeno così intuiamo- per i fondi sterrati e sconnessi del Jordan Bike Trail.
Dieci giorni di viaggio per volare da Milano (BG) ad Amman, pedalare la traccia del trail nazionale fino ad Aqaba sul mar Rosso e da lì prendere un volo verso casa.
La pianificazione della traccia -che piace fare soprattutto a Paolo- prevede un taglia-copia-incolla della traccia originale. Dei 700 chilometri ne percorreremo circa 500 con 7000 metri di dislivello positivo.
Nessuna velleità sportiva: la bicicletta è un mezzo formidabile che da qualche anno abbiamo scelto per viaggiare.
Prima di partire abbiamo definito tappa per tappa e prenotato un letto per dormire in quasi tutti i punti di arrivo (è inverno anche in Giordania e abbiamo concordato di lasciare la tenda a casa). Per premura ci portiamo solo il sacco a pelo, che -spoiler- ci servirà eccome.
Partire
Si vola, e con noi le bici. A grande sorpresa -è la prima volta che lo facciamo e un po’ di timore c’è- tutto fila liscio. All’aeroporto di Amman sballiamo e montiamo le bici. Direzione Madaba. Saltiamo la capitale: non abbiamo tempo di visitarla per bene e sappiamo che pedalarci dentro è un inferno.
Da Madaba parte ufficialmente il nostro viaggio, puntiamo a sud, Karak. Imbrogliamo e accorpiamo due tappe del trail in una.
Lo scotto è pedalare molto lungo la King's Highway che è una delle tre arterie che collega il nord al sud del Paese. Pensavo peggio, il percorso ci regala invece inaspettata tranquillità e viste mozzafiato. Su tutte vince il Wadi Mujib, il Grand Canyon della Giordania che si incrocia dopo Dhiban e che in passato divideva il Paese in due: largo 4 chilometri e profondo uno, dal mar Morto si allunga verso est per 70 km. Per attraversarlo, tra discesa e salita, ci sono 18 km di tornanti. Lo scoglio bello della giornata.
Da Karak, dove c’è un castello da visitare, incrociamo il Jordan Bike Trail. La giornata parte, il percorso è una goduria, pedaliamo su strade secondarie senza traffico. Unico ostacolo, il numero smisurato di cani randagi che impariamo a gestire man mano che passano i giorni: rallentare, se necessario scendere dalla bici e procedere a passo d' uomo. Segreto: mai mollare i freni in discesa. La velocità accende l’attitudine predatoria delle bestie che spuntano dai bordi delle strade sul più bello.
Pedalare d'inverno
La Giordania vive anche l'inverno. Lo testiamo nel giorno quattro del nostro viaggio. Si parte con pioggia e nebbia: quando Paolo prende pochi metri di distanza, ne scorgo soltanto l'ombra. Sugli sterrati argillosi le biciclette diventano cotolette in doppia, tripla panatura. Soffro, non ho un buon rapporto con il fango. Ma cerco di non farlo pesare, fa freddo e l'energia è poca.
Dopo una fredda giornata, i guanti umidi, la sensibilità alle mani ridotta, la visibilità scarsa, abbandoniamo la traccia sterrata e cerchiamo asfalto. Le bici sono davvero mal conce.
Furto d’oro blu quando in uno spiazzo aperto scorgo una canna dell’acqua. Per una come me, vagamente fissata per la catena pulita e lubrificata, è pura felicità. A coronare la mia ritrovata lietezza, una doccia bollente, di quelle che ti lasciano la pelle rossa, con vista sul castello di Shobak.
Visitare
Si parte con il sole e una buona energia: oggi raggiungiamo Petra, il nostro checkpoint di metà viaggio dove abbiamo programmato di fermarci un giorno per visitarla.
La strada per arrivarci è tanto spettacolare quanto impervia. Il terreno umido per la pioggia di ieri ci presenta il conto anche oggi. Fango e sassi si mescolano sulle ruote. La velocità e la forza centrifuga sparano ghiaia sul telaio che risuona come un metallofono e sulle mie gambe percosse come due congas.
Petra è un mondo. E il nostro giorno di stop non è un giorno di riposo. Visitare la città sacra scolpita tra le rocce di arenaria rosa è una vera e propria escursione tra le montagne di Shara.
Bella, incantevole, incredibile, nota in tutta il mondo. Sì, ma profanata dall'azione di noi, uomini e donne che in barba alla sacralità di questa natura viviamo da troppo tempo in seno ad un nuovo Dio, quello della brama incontenibile, del desiderio smodato di chissà cosa, della costante frenesia di riempire tempo e spazio, del mordi e fuggi.
Petra, come la Giordania che ho visto, ha un problema di rifiuti. Dove arriva l'uomo, c'è plastica. Il pane fresco è incartato nella plastica, i dolci vengono serviti nella plastica, l’acqua viene venduta in contenitori di plastica di tutte le dimensioni (bottiglie, bottigliette, bicchieri chiusi). Causa-effetto, la plastica si trova sui cigli delle strade, nei campi fuori città, impigliata tra le reti che dividono le proprietà e anche a Petra. Che è una delle sette Meraviglie del mondo.
Stupirsi
Giorno sette: è la tappa più bella del viaggio finora.
Lasciamo Petra su una strada da cui per un tratto si scorge il Siq, mentre la tomba di Aronne svetta in alto a mo' di stella polare. Al primo villaggio lasciamo la King's Way per entrare in un sogno. Una strada con fondo sterrato in discesa ci fa perdere di quota. Negli occhi un panorama che me li fa strizzare ogni volta che li alzo, nelle orecchie un silenzio così forte che ogni volta che lo ascolto me le fa scoppiare. A pedalare così non si sente la fatica.
Ci lasciamo le montagne alle spalle e raggiungiamo il deserto, è la prima volta che ci pedalo dentro. Siamo alle porte dell'area protetta del Wadi Rum. Al timone della bici non ci sono più io, ma la sabbia: è lei che decide dove andare. Io assecondo quando riesco. Quando no, volano imprecazioni -tanto Paolo, che mal sopporta la mia impazienza verbale, è avanti e non mi sente.
Nel deserto del Wadi Rum dormiamo in un campo tendato: temperatura minima registrata nella stanza 3°C. Avere i nostri sacchi a pelo con noi si rivela la miglior scelta di sempre. Dormo comunque vestita e con doppia cuffia in testa. Tutto bene, unici disagi: naso congelato e pipì. Provo a tenerla quanto posso, dovrei uscire dal precario tepore che ho creato in qualche ora dentro al sacco a pelo, mettermi le scarpe e attraversare il campo per raggiungere il bagno. Alle due cedo, non ce la faccio più.
Il mio guizzo di audacia incoraggia Paolo a fare lo stesso. Anche a lui, causa freddo, scappa la pipì e va in bagno.
Pedalare attraverso il Wadi Rum è l’esperienza più difficile e spassosa della mia vita in bicicletta. La sabbia mi seduce quando si lascia navigare al piacevole fruscio delle ruote che sembrano gallerggiarci sopra; la rinnego quando cede sotto il peso della bici che si pianta come un ciuco. Dopo più di trentacinque chilometri nella sabbia, c’è asfalto: sia benedetto.
Completare
La nostra meta è ormai vicina. In meno di quaranta chilometri planiamo su Aqaba.
La città sul mar Rosso è volta al turismo e si vede. È pulita, curata e ha un po' di attenzione in più per spazi belli dedicati alle persone.
Si fanno i bagagli e si impacchettano le bici grazie all’aiuto di un bike shop della città, il Alrayan Bike shop. Domani si riparte, ma adesso a cena che mi mangerei un tavolo.